lunedì 10 ottobre 2011

Un caso di Bullismo


Giuseppe è il protagonista di questa storia. Questo è un nome di fantasia: già intimidito dal fatto di dover raccontare la sua esperienza, gli abbiamo promesso di non menzionare il suo vero nome.
Parlando un giorno al nostro amico Davide del Laboratorio su “Nonviolenza e Diritti Umani” e della situazione conflittuale da dover individuare per l’elaborato finale, ci siamo ritrovati a parlare di Giuseppe e della sua situazione. Giuseppe è un ragazzo di quindici anni a cui Davide impartisce lezioni di matematica. Tra i due vi è una vera e propria amicizia che ha spinto il ragazzo a confidarsi con il suo insegnante su alcune vicende verificatesi a scuola, vicende che possono senz’altro interpretarsi alla luce di quel fenomeno chiamato Bullismo. Abbiamo così deciso di affrontare tale problematica conflittuale, oggi tanto diffusa nelle scuole italiane e non solo, attraverso la vicenda di questo quindicenne.
Giuseppe frequenta l’Istituto Tecnico Commerciale “Vilfredo Pareto” di Palermo. Ha appena concluso il secondo anno. In un incontro avuto con lui, ci ha raccontato di come un gruppetto di ragazzi più grandi lo abbia infastidito, più volte e in diverse modalità, nel corso di quest’anno. In primo luogo, è stato più volte deriso e preso in giro: ogni volta che passava - racconta - si voltavano verso di lui sorridendo e ridacchiando; spesso lo prendevano in giro apertamente rivolgendogli soprannomi offensivi o, comunque, espressi in tono maligno, come quello di “tonno rio mare”. Alla domanda su come reagisse a questi atteggiamenti, Giuseppe ci ha detto di come a volte sia rimasto in silenzio e, altre volte, abbia invece tentato di reagire rispondendo a tono: cosa per lui molto difficile, essendoci sembrato un ragazzo timido ed introverso. Tra l’altro, la cosa che più ci ha colpito è il fatto che, secondo il racconto di Giuseppe, questi episodi di “sfottò” si verificano quotidianamente a scuola e, per i ragazzi, rientrano nella normalità: «Queste cose sono normali. Del resto non ero l’unico ad essere stato preso di mira!». Tuttavia, Giuseppe non si sarebbe mai aspettato che dal “semplice sfottò” si sarebbe passati a qualcosa di più grave. All’inizio di maggio si è verificato un episodio spiacevole. Durante l’ora di ricreazione, Giuseppe va in bagno. Bussa alla prima porta chiusa, e si sente rispondere che è occupato. Stessa scena davanti alla seconda porta. Al terzo tentativo, però, non c’è una voce che lo invita a provare altrove. C’è, invece, uno di quei ragazzi che spalanca di colpo la porta e comincia a colpire Giuseppe: due calci ravvicinati colpiscono la sua mano sinistra. Intanto si aprono le altre porte ed escono ridendo gli altri componenti del gruppo. Giuseppe comincia ad urlare dal dolore, i ragazzi scappano e a quel punto accorre il bidello per capire cosa sta succedendo. Di lì a poco vengono avvertiti i genitori di Giuseppe, che si recano a scuola e portano il figlio al pronto soccorso di Villa Sofia. La prognosi del medico è stata la seguente: 15 giorni di gesso per trauma, da tenere sotto il controllo di un ortopedico.
Giuseppe è rimasto chiaramente scioccato da questo episodio. È molto seccato del fatto che a scuola l’accaduto sia stato spiegato come un semplice incidente, ma, del resto, lui non ha voluto raccontare come siano andate veramente le cose. È, inoltre, deluso dal fatto che, a parte due ragazzi di cui è amico, nessun altro dei compagni si sia fatto vivo per sapere come sta. Del resto, ci ha detto, la maggior parte di loro ha sempre fatto finta di niente, e alcuni sembravano persino divertirsi durante le varie “prese in giro”. Il risultato è che Giuseppe ha chiesto ai suoi genitori di cambiare scuola per il prossimo anno.

Dalla vicenda di Giuseppe possiamo estrapolare i seguenti punti:
  • Giuseppe è un ragazzo tranquillo, timido e un po’ insicuro: per quel gruppo di ragazzi è stato facile sceglierlo come bersaglio delle loro angherie.;
  • G. è stato vittima di violenza psicologica: l’essere continuo oggetto di sorrisetti e risatine, l’essere preso in giro è motivo di grande sofferenza per un adoloscente;
  • G. è stato vittima di violenza fisica.
  • La reazione di G. è stata a volte il silenzio, a volte la rabbia, dimostrando in ogni caso di essere turbato dagli attacchi del gruppetto.
  • G. non si è mai confidato con gli adulti (genitori o insegnanti) per paura che il gruppetto potesse bersagliarlo ancora di più per ripicca e, forse, anche per vergogna della propria debolezza, dell’essere incapace di farsi valere.
  • Gli altri ragazzi della scuola hanno, in generale, mostrato indifferenza, probabilmente spinti dalla paura che quei ragazzi potessero prendersela anche con loro.
Tali punti ci riconducono senz’altro al fenomeno Bullismo, la cui definizione è: “un’oppressione, psicologica o fisica, ripetuta e continuata nel tempo, perpetuata da una persona (bullo) o da un gruppo di persone più potente nei confronti di una persona percepita più debole (vittima)”.
Contro questa problematica conflittuale, che riguarda Giuseppe come molti altri ragazzi, è possibile contrapporre una soluzione nonviolenta. Per fare ciò è importante che ad agire attivamente siano tutte le parti coinvolte, ovvero:
  • la “vittima”, nel nostro caso Giuseppe
  • gli “spettatori”, ovvero quella maggioranza silenziosa di studenti che assistono agli episodi di oppressione
  • la famiglia
  • la scuola

Per la vittima:
  • Il bullo si diverte quando reagisci. Se ti provoca, fai finta di niente e allontanati. Cerca di mantenere la calma, non farti vedere spaventato o triste. Senza la tua reazione il bullo si annoierà e ti lascerà stare.
  • Cerca di far capire al bullo che non hai paura di lui e che sei più intelligente e spiritoso. Così lo metterai in imbarazzo e ti lascerà stare.
  • Molte volte il bullo ti provoca quando sei da solo. Durante la ricreazione stai vicino agli altri compagni o agli adulti; utilizza i bagni quando ci sono altre persone.
  • Confidati con gli adulti, genitori e insegnanti. Non puoi sempre affrontare le cose da solo!
Per il ragazzo “spettatore”:
  • se sai che qualcuno subisce prepotenze, dillo subito ad un adulto.
  • Cerca di superare la paura e pensa che potresti essere tu al suo posto: saresti felice se qualcuno ti aiutasse.
Per i genitori:
  • Imparare a cogliere i segnali che i figli possono nascondere, cercando di mostrare comprensione.
  • Ascoltare attentamente i figli e non colpevolizzarli.
  • Farsi raccontare dettagliatamente l’accaduto per un’eventuale denuncia.
  • Mettere a corrente la scuola.

Per gli insegnanti:

Può essere utile far compilare agli alunni un questionario e organizzare una giornata di dibattito e incontri fra genitori e insegnanti. Ciò è importante per capire le dimensioni del fenomeno.

Una migliore attività di controllo durante la ricreazione metterebbe al sicuro le potenziali vittime. Sono questi i momenti in cui la maggior parte dei bulli agisce indisturbata.

Si possono istituire "cassette delle prepotenze" dove lasciare dei biglietti con su scritto quello che succede.

In classe, tutti insieme, si possono individuare poche e semplici regole di comportamento contro il bullismo. Le regole devono essere esposte in modo ben visibile e tutti devono impegnarsi a rispettarle.

Il silenzio e la segretezza sono potenti alleati dei bulli. È importante abituare i ragazzi a raccontare ciò che accade e a non nascondere la verità.

Se l'insegnante individua un bullo o una vittima, per aiutarlo è necessario parlare subito con lui di ciò che gli accade.




Ricerca a cura di Daniela Balistreri, Donato Dell'Orzo, Alessandra Ferrara, H.R.Y.O. – Human Rights Youth Organization




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