lunedì 10 ottobre 2011

Emergenza Zen: analisi del problema e proposta di possibili soluzioni nonviolente


Da più di un mese le pagine dei giornali, in particolar modo dei quotidiani locali, hanno dedicato ampio spazio ad un problema forse da troppo tempo ignorato: l’occupazione abusiva di case popolari. Secondo i dati dell’Iacp sono circa 4000 le case occupate illecitamente a Palermo, a fronte di circa 16000 richieste di alloggio (600 sono casi di emergenza), sebbene dei nuclei familiari in attesa solo la metà sia in possesso dei requisiti necessari; in base alla media fornita dagli uffici comunali sono circa 70 le case assegnate ogni anno; dovrebbero inoltre essere messe a disposizione circa 100 case tra il centro e la periferia e altri 100 alloggi sono in costruzione a Borgo Nuovo.
Intanto, però, nel quartiere dello Zen, circa da metà aprile, si è creata una situazione di tensione che è forse l’inevitabile esito di problematiche sviluppatesi nel corso di anni e ora esplose in modo eclatante.
Ho scritto “inevitabile”, ma non credo che il corso degli eventi sia nelle mani di un Fato imperscrutabile e capriccioso dinanzi al quale ci troviamo inermi: probabilmente si poteva in qualche modo evitare che la situazione degenerasse fino a questo punto; ora è senz’altro necessario prenderne atto senza sottovalutare un problema che va al di là della difficoltà contingente, interessando più zone e da lungo tempo.
Nel caso specifico del quartiere palermitano dello Zen, la situazione è precipitata quando il 20 aprile vigili urbani, protezione civile, ambulanze, camion per traslochi e forze dell’ordine in tenuta antisommossa sono intervenuti per sgomberare gli alloggi dell’ insula 3 (un isolato destinato alla realizzazione di un asilo nido, un giardino, un poliambulatorio e una caserma dei carabinieri) occupati illecitamente: in tutto una sessantina i nuclei familiari di abusivi, di cui 50 stabilitisi in appartamenti ancora incompiuti (cosa che ha portato all’interruzione dei lavori); dieci famiglie si trovavano invece lì da più di un anno e, secondo quanto detto da alcuni occupanti, «se con era per loro [i nuovi 50 abusivi] da qui non ci mandava via nessuno, tutta colpa loro che hanno fatto casino occupando le case ancora in costruzione. Ma perché non aspettavano la fine dei lavori e ci entravano dopo, come noi?» ( 21 aprile 2010).
Quello del 20 aprile non è certo il primo sgombero: ad alcune famiglie era già capitato di dover lasciare un appartamento perché rivendicato dal legittimo proprietario o di essere sgomberate dalla polizia per poi tornare ad occupare abusivamente l’alloggio lasciato disabitato. Stavolta però il problema ha assunto una dimensione senza dubbio maggiore, probabilmente a causa dell’entità dello sgombero, della ricerca di un provvedimento che sia definitivo e del rilievo mediatico dato alla vicenda.
Soprattutto i primi giorni sono stati carichi di tensione tra le forze dell’ordine e gli abusivi, giorni segnati da scontri, lanci di uova, resistenze decise…e da contrasti anche tra gli abusivi e i legittimi assegnatari: tra questi ultimi vi è stato chi, proprio a causa della forte conflittualità venutasi a creare nel quartiere, ha preferito rinunciare all’alloggio temendo per la propria sicurezza. Nel giro di qualche giorno, però, la tensione si è un po’ smorzata, lasciando così intravedere, dietro il caso di illegalità e abusi, il caso umano: persone che rivendicano i propri diritti, in particolar modo il diritto ad un’abitazione e ad un’assistenza che non si manifesti solo in casi eccezionali come quello presente (Rita Borsellino ha parlato di “«palese violazione del diritto dell’individuo all’assistenza sociale e all’assistenza abitativa riconosciuto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione» e la negazione «della sicurezza sociale e delle cure necessarie» ai bambini delle famiglie sgomberate previste dalla Convenzione Onu dei diritti del fanciullo”) (28 aprile 2010). D’altra parte queste persone sono ricorse a mezzi in ogni caso illeciti sui quali le istituzioni non possono chiudere un occhio, soprattutto in presenza di necessità di persone altrettanto bisognose cui far fronte. Alcune famiglie di abusivi si sono quindi allontanate pacificamente e l’associazione “Ragazzi di strada”, che ha anche organizzato una veglia come forma di protesta nonviolenta, ha appeso un lenzuolo con il messaggio: “nessuna violenza, vogliamo solo un tetto”. Altre famiglie, pur tornando ad occupare gli alloggi a metà maggio e dichiarandosi decise a non lasciarli pacificamente se non fosse loro proposta un’alternativa, hanno comunque voluto precisare che «non è un’occupazione vera e propria, è solo a scopo dimostrativo. Vogliamo che le istituzioni capiscano che non possono abbandonarci così», come ha sostenuto Vincenzo Di Blasi, uno degli occupanti, seguito da Enza Caldovino: «non bloccheremo i lavori e garantiamo che nessun danno verrà arrecato alle attrezzature del cantiere edile» (16 maggio 2010).
Così, tra tende di fortuna e presidi delle forze dell’ordine, c’è stato spazio anche per forme di solidarietà: solidarietà nei confronti degli abusivi da parte delle associazioni, delle forze dell’ordine che hanno realizzato collette e da parte degli stessi legittimi assegnatari.
Di fatto sono proprio questi ultimi, che spesso aspettano una casa anche per molti anni, coloro che possono comprendere meglio i bisogni degli abusivi, sebbene la comprensione e la carità non debbano certo sfociare in forme di pietismo e nella giustificazione di un atto che resta comunque illegale. Massimo Castiglia, presidente della associazione Handala, impegnata in attività di animazione di quartiere, ha dichiarato al Giornale di Sicilia: «Non condividiamo le occupazioni, ma siamo vicini allo stato di bisogno di queste famiglie. Finché l’amministrazione comunale non si prenderà la responsabilità di questa emergenza non occuperemo una sede ottenuta al costo di uno sfratto» (29 aprile 2010).
Resta difficile trovare un ricovero agli abusivi sgomberati: il sindaco Cammarata alla fine di aprile aveva offerto a mamme e bambini la possibilità di essere ospitati in case famiglia, non volendo concedere “una corsia preferenziale «a chi rivendica un diritto attraverso un abuso»”; l’assessore all’urbanistica Mario Milone ha affermato che «servono soluzioni strutturali, cioè la realizzazione di case popolari[…]ma l’attuale strumento urbanistico non prevede aree destinate a edilizia residenziale pubblica» (24 aprile 2010) ed ha offerto un ricovero temporaneo nei locali della vecchia sede dell’Urbanistica in piazza della Pace, che in seguito agli accertamenti richiesti sono però risultati inagibili. Si discute inoltre dello sfruttamento dei beni confiscati, il cui elevato valore strutturale ed economico ne rende però discutibile l’uso in funzione di case popolari.
Probabilmente la soluzione del problema avrebbe dovuto essere valutata prima di effettuare gli sgomberi. È infatti innegabile che da un punto di vista giuridico-amministrativo il diritto di usufruire di questi alloggi popolari spetti a determinate persone, e per questo è assolutamente necessaria la presenza e la scrupolosa organizzazione di enti che si occupino con sollecitudine della valutazione dei criteri di assegnazione delle case popolari, che prevengano il verificarsi di occupazioni abusive e che effettuino regolarmente controlli al fine di evitare atti illeciti quali la compra-vendita di tali alloggi; ma in casi come questo, in cui per rispetto alla legalità sia necessario ricorrere a sgomberi è fondamentale ricordare che da un punto di vista umano godiamo tutti degli stessi diritti e pertanto sarebbe stato necessario provvedere ad un ricovero, anche provvisorio, prima di intervenire. Considerata l’entità del fenomeno e l’innegabile presenza di condizioni di forte disagio, la situazione è da considerarsi di emergenza; così è stata percepita anche dagli sfollati che con queste parole si sono rivolti al Governo centrale: «Non basta intervenire solo in casi di calamità naturale. Anche l’emergenza case di Palermo è una calamità» (27 maggio 2010). Si rendono pertanto necessarie misure straordinarie che non possono limitarsi a un susseguirsi di blitz e presidi, soluzioni di fatto a breve termine. Lo stesso prefetto Marangoni ha dichiarato: «purtroppo quello dello Zen è un problema di ordine amministrativo che si è incancrenito, trasformandosi in un problema di polizia.[…]La soluzione non può essere certo una risposta di polizia.[…]quel che è certo è che il nostro intervento, così come il nostro presidio, non può essere a tempo indeterminato.[…]naturalmente le forze dell’ordine non possono che appoggiare tutte le azioni di ripristino della legalità laddove si dovessero riproporre situazioni analoghe a quella dello Zen. Ma è una questione molto più ampia, che va risolta tenendo conto delle risorse a disposizione» (15 maggio 2010).
Una soluzione a breve termine per questa che, ripeto, è una situazione di emergenza pubblica, cittadina, finalizzata a sopperire alle più elementari esigenze degli sfollati, potrebbe essere costituita dall’intervento della Protezione Civile per allestire una tendopoli attrezzata. In questo modo sarebbero garantiti ricoveri più validi, forniti di adeguati servizi e in grado di preservare l’unione dei nuclei familiari.
Tale soluzione, ai requisiti già accennati, unirebbe naturalmente quello della temporaneità.
Per una soluzione a lungo termine, è invece necessaria, come ho già scritto, innanzitutto un’efficiente organizzazione degli enti preposti all’assegnazione degli alloggi popolari già esistenti; in secondo luogo la seria formulazione di un piano per il reperimento dei fondi e la costruzione degli alloggi mancanti.
Questi provvedimenti devono esser considerati come i primi passi nella situazione specifica, ma secondo una prospettiva di carattere più generale dovrebbero essere il prodotto di un processo che parte da più lontano, dalla formazione etico-professionale della classe dirigente. È altresì importante la formazione, soprattutto scolastica, dei bambini e dei giovani, perché siano educati alla legalità e al rispetto dei diritti di ciascuno.
Purtroppo quanto successo allo Zen è la dimostrazione che certe realtà interpellano le coscienze e suscitano attenzione solo quando raggiungono un’acme di gravità che sarebbe prudente evitare: ciò dovrebbe servire da monito per il futuro. Per questo è fondamentale non “dimenticarsi” del problema: questo caso particolare e il rilievo, il giusto rilievo, che gli è stato attribuito ha fatto sì che si conosca meglio una problematica che interessa e coinvolge tantissimi concittadini. Ed è questo l’appello delle famiglie sfollate: «Non vogliamo creare disordini, non vogliamo metterci contro nessuno. Speriamo solo di non essere dimenticati come è accaduto fino adesso.» (15 maggio 2010). E come bisogna ricordarsi degli abusivi sfollati, bisogna pure ricordarsi di tutti coloro che, regolarmente iscritti nelle liste, attendono a lungo, troppo a lungo, l’assegnazione di una casa.
Inoltre gli atti di solidarietà che ho sopra ricordato hanno dimostrato come un passo fondamentale per ridurre la tensione e le ostilità sia stato compiuto da chi è più direttamente coinvolto e credo che la premessa fondamentale per la soluzione nonviolenta di un conflitto sia proprio non vedere l’“avversario” come un antagonista da mettere a tacere perché in torto, ma piuttosto come una persona mossa da esigenze e sentimenti analoghi ai nostri, con cui è necessario e doveroso confrontarsi per giungere ad un accordo che sia una riconciliazione, una soluzione in vista di ciò che è meglio per tutti piuttosto che la vittoria di una delle due parti in conflitto.

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Le interviste da “La Repubblica” e “Giornale di Sicilia”



Ricerca a cura di Costanza Sciarabba, H.R.Y.O. – Human Rights Youth Organization




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